Centro di Salute Mentale di Aurisina
Il Centro di Salute Mentale (CSM) di Aurisina venne aperto il primo maggio 1975 in uno stabile che era precedentemente una caserma dei carabinieri. Lo stabile viene ripulito ed ammobiliato. Responsabile della struttura viene nominato Paolo Fonda. Al neonato CSM vennero affidati 11 ex-lungodegenti, provenienti appunto dal territorio dell’Altipiano Ovest, piuttosto anziani e con percorsi di sofferenza molto travagliati e 40-50 anni di degenza alle spalle. Uno di essi proviene addirittura dall’OPG. Il problema di lasciare gli ex-degenti da soli la notte impose da subito la necessità di abilitare il centro sulle ventiquattrore. Si creò così un’équipe multidisciplinare, fatta anche di volontari, con la necessità per alcuni di essi di dormire nel centro la notte. Accanto al primario del centro, lo psichiatra Paolo Fonda, vi è anche la specializzanda Giovanna Del Giudice. L’impatto del centro sulla popolazione del territorio è complesso. L’allora giunta comunale, di centro sinistra, attacca la nuova struttura sulla stampa definendola un “manicomietto”. Grazie allo spirito di iniziativa del Centro vengono indette delle assemblee con la cittadinanza per discutere i problemi del territorio. Si attiva così un dibattito all’interno del quale il nuovo CSM organizza varie iniziative culturali quali la presentazione di libri o i gruppi donne. In un’azione comune con il CSM di Barcola si attiva anche un ambulatorio pediatrico con medici volontari dell’ospedale Burlo e un ambulatorio ginecologico. Molta importanza viene prestata anche alla medicina del lavoro con l’apertura di un rapporto di collaborazione con i consigli di fabbrica della vicina Cartiera del Timavo. Due giovani molto problematici del territorio vengono aiutati nell’inserimento lavorativo grazie alla legge 68. Il Comune di Aurisina viene favorito dalla presenza del nuovo Centro di Salute Mentale per il fatto che gli ex-lungodegenti del manicomio divengono consumatori e fruitori del paese recandosi nei vari servizi e negozi del paese. La loro vita sociale svincolata dalle costrizioni manicomiali aiuta a combattere la stigmatizzazione nei loro confronti.