"Caso" Savarin

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Giordano Savarin, di 43 anni, fin dal 1970 ricoverato all’OPP, nel 1972 viene liberato attraverso un percorso di sperimentazione e consegnato alle cure dei genitori residenti nel quartiere periferico di Aquilinia. A Savarin, al netto del percorso alternativo, vengono comunque prescritti dei farmaci da assumere a domicilio per garantire una continuità. Di lì a poco tempo Savarin uccide la madre con un coltello da cucina e il padre, invano sopraggiunto per le urla della moglie. In seguito all’omicidio Savarin viene riconsegnato all’OPP la sera stessa e poi processato. Riceve una condanna di lunga reclusione presso l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia.

La stampa cittadina attacca ferocemente Basaglia, il quale viene inoltre accusato del fatto che la madre di Savarin, in quanto analfabeta, fosse incapace di gestire le terapie del figlio. Nel marzo 1975 Basaglia viene processato e poi assolto poiché non responsabile del comportamento di Savarin, dal momento che non è il trattamento farmacologico a garantire la non pericolosità del paziente psichiatrico.

Durante il processo, Basaglia difende strenuamente il suo lavoro a Trieste e ciò gli viene riconosciuto come punto di merito dai magistrati.