Le buone pratiche in salute mentale

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L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stabilisce il ruolo essenziale della salute mentale per la realizzazione sociale dell’individuo e del suo stato di salute complessivo. I disturbi mentali, già oggi una delle principali fonti di sofferenza e disabilità nel mondo, sono in progressivo aumento. Per la loro complessa eziologia che coinvolge oltre a quello nervoso altri sistemi fisiologici e la loro cronicità, i disturbi mentali richiedono oggigiorno un approccio multidisciplinare che affianchi alla ricerca clinica l’indagine sui fattori psicosociali che concorrono alla vulnerabilità e alla capacità di un individuo di far fronte a tali patologie. In questo senso si parla oggi di “buone pratiche”. L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) promuove la ricerca e la loro applicazione con particolare attenzione alle fasi di particolare criticità come quelle perinatale, l’infanzia, l’adolescenza e la senescenza. Le condizioni e le malattie studiate includono i disturbi del neurosviluppo, la depressione, le sindromi ansiose, i disturbi ossessivo-compulsivi, emozionali, cognitivi, mnemonici e psicosomatici, anche correlati allo stress. Vengono attuati interventi di promozione della salute mentale nella scuola e nei luoghi di lavoro e studi sui servizi per migliorare l'accesso e la qualità delle cure. L’approccio allo studio delle buone pratiche è interdisciplinare e coinvolge psichiatria, neuroscienze, psicologia clinica, etologia, psicobiologia e psicofarmacologia. Vengono studiate le interazioni tra fattori biologici, comportamentali, sociali e ambientali sia nella genesi, sia nella protezione dei disturbi mentali avvalendosi di modelli sperimentali, studi clinici, e popolazioni seguite nel tempo (per identificare i fattori di rischio di sviluppare un disturbo mentale).