Il pratico-inerte

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Il filosofo francese Jean-Paul Sartre (1905-1980), uno dei più importanti esponenti dell'esistenzialismo nel XX secolo, ha elaborato concetti molto importanti anche a livello politico, e tra questi quello di pratico-inerte, all’interno dell’opera Critica della ragione dialettica.

La radicale libertà dell'uomo ha incontrato nel corso della storia una crisi e uno scacco. In particolar modo la società contemporanea, la rivoluzione industriale e il trionfo del capitalismo hanno leso la libertà dell’uomo e lo hanno sottomesso ai vincoli delle inviolabili leggi del mercato e ai rapporti di produzione capitalistici.

Gli assunti fondamentali di L'essere e il nulla sono superati nella Critica della ragione dialettica con l'assunzione teorica del materialismo storico marxiano. Nel mondo contemporaneo infatti si impone il "pratico-inerte" (l'essenza della materia) e determina la vittoria della necessità sulla libertà.

«Non è né nell'attività dell'organismo isolato e né nella successione dei fatti fisico-chimici che la necessità si manifesta: il regno della necessità è il dominio, reale, ma ancora astratto dalla storia, dove la materialità inorganica si chiude sulla molteplicità degli uomini e trasforma i produttori nei loro prodotti. La necessità, come limite nel seno della libertà, come evidenza accecante e come momento del rovesciamento della praxis in attività pratico-inerte diventa, dopo la caduta dell'uomo nella società seriale, la struttura stessa di tutti i processi di serialità, quindi la modalità della loro assenza nella presenza e di un'evidenza svuotata.» Jean-Paul Sartre, “Critique de la raison dialectique”, Paris, Gallimard, 1960, pp. 375-376.

La libertà dell’uomo contemporaneo è stata violata: oggi ha valore solo ciò che è materiale ed economicamente quantificabile. Nel regno del pratico-inerte l' esercizio della libertà è ridotto dalla meccanicità in cui l'uomo è immerso. L'essenza della materia vanifica e rende illusoria la libertà, intesa come spontaneità e come potestas ad opposita. Nel dominio del pratico-inerte, dell' uomo non resta più nulla, la sua essenza si oscura e la vita si inserisce nella quotidianità materiale e meccanica.

Sartre accetta il pensiero di Marx, di cui predilige il pensiero giovanile, presente in particolare nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, e nelle Tesi su Feuerbach (1845). In quest'ultimo breve scritto compare la "filosofia della prassi", molto apprezzata da Sartre. In proposito Sartre afferma: "il modo di produzione della vita materiale domina in generale lo sviluppo della vita sociale, politica e intellettuale".

Con l'adozione di questa concezione materialistica della realtà ne consegue l' adesione politica al comunismo, Sartre si mette in gioco a favore di questo e dà inizio a un suo ruolo di engagé che farà da modello a molti intellettuali di sinistra tra gli anni '50 e '80. Sartre è convinto della necessità di riconciliare le idee esistenzialistiche con i principi del marxismo, e che le forze socio-economiche ormai purtroppo determinino il corso dell'esistenza umana. Per Sartre si tratta di una conciliazione politica e filosofico-esistenziale necessaria per una messa in discussione dei rapporti di produzione, potere e proprietà e per ricollocare nella giusta posizione l' uomo.

È in questa prospettiva che nasce il progetto della Critica della ragione dialettica (che uscirà nel 1960), la sua adesione al marxismo a partire da I comunisti e la pace (1951) e contemporaneamente la rottura con altri intellettuali.

Il concetto di pratico-inerte assume un grande valore nell'esperienza di deistituzionalizzazione: il soggetto all' interno della pratica psichiatrica diventava oggetto medico-patologico, ridotto ad un processo meccanico di cura e gestione pratica. Della persona rimaneva solo il suo valore medico, e ne veniva così dimenticata la dimensione politica e sociale.