"Zitti e buoni"

Da oltreilgiardino.
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Ugo Guarino era un pittore, scultore, grafico, redattore di cronaca. Il libro (1979) consiste nella rappresentazione grafica, attraverso l’utilizzo di tavole, del mondo manicomiale. Un racconto che si concretizza in una serie di disegni che mettono in discussione i metodi, le cure e i diversi dispositivi di controllo adoperati nei confronti della diversità e della devianza. I disegni di Guarino rappresentano la violenza delle istituzioni e la loro crudezza attraverso immagini che raccontano la realtà, le storie di vita e le tecniche esercitate dalle istituzioni totali. Mediante l’utilizzo di un tratto riconoscibile e essenziale l’autore riesce a narrare in modo espressivo e incisivo la realtà coercitiva di questi non-luoghi.

Il libro è una testimonianza in presa diretta sotto forma di un commento, di una “notizia” e di “commento” simultaneamente. La matita - o per la precisione il pennarello - è lo strumento di cui Ugo Guarino si avvale per dar conto di un mondo reale-istituzionale, vissuto-subito, additato-denunciato, un mondo che è un tutto conchiuso in sé e una parte di un tutto più vasto: il mondo dell' alienazione mentale” e dell’istituto manicomiale che per decenni ne ha governato le dolorosissime situazioni.

Ugo Guarino ha lavorato a supporto di chi, come Franco Basaglia e Franca Ongaro Basaglia, ha contribuito a denunciare e a modificare le istituzioni psichiatriche nel nostro Paese. Guarino è convinto del fatto che quel mondo, quei metodi, quelle “cure”, quel dispositivo di controllo della “diversità” e della “devianza” vadano spezzati e spazzati via. Occorre eliminarli in quanto si riflettono nel segno di un controllo sociale generalizzato e del quale resta vittima non soltanto il “malato mentale.

Negli straordinari disegni di cui si compone il libro Guarino mostra di avere una singolare percezione della condizione subumana del soggetto reificato che va sotto il nome di “pazzo”: e allora bisogna seguirlo, tavola dopo tavola, nel martellio delle sue raffigurazioni dell’orrore e ammirare con raccapriccio il segno sempre giusto, sempre efficace, tremendamente all’altezza dell’inumano oggetto a cui viene relegata figura della persona considerata malata.