Differenze tra le versioni di "Antonio Villas"

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Antonio Villas, ingegnere di formazione e poi progettista presso la FIAT Automobili Torino, oggi svolge a Trieste la professione di architetto, o come si definisce lui "anti architetto". Lo stile dei suoi progetti e delle sue realizzazioni è moderno e anticonformista. Anche Fabrizia Ramondino in Passaggio a Trieste lo descrive con lo stesso termine per il suo modo di lavorare alternativo a quello individualista degli archistar. Ha curato molti progetti per l’Azienda Sanitaria Triestina e il [[Dipartimento di Salute Mentale di Trieste]].
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Antonio Villas, ingegnere di formazione e poi progettista presso la FIAT Automobili Torino, oggi svolge a Trieste la professione di architetto, o come si definisce lui "anti-architetto". Lo stile dei suoi progetti e delle sue realizzazioni è moderno e anticonformista. Anche Fabrizia Ramondino in Passaggio a Trieste lo descrive con lo stesso termine per il suo modo di lavorare alternativo a quello individualista degli archistar. Ha curato molti progetti per l’Azienda Sanitaria Triestina e il DIpartimento di Salute Mentale di Trieste.
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Attento osservatore delle realtà sperimentali sostiene l’innovazione e l’apertura degli spazi nell’interesse di chi ogni giorno li vive e attraversa. [[Antonio Villas|'''Antonio Villas''']] definisce i luoghi della società contemporanea “anti-luoghi” ovvero luoghi dove non vengono riconosciute le esigenze minime del vivere insieme, quali decenza, decoro, comfort, dove la relazione tra spazi e persone, la possibilità di comunicare con segni e colori, di creare sensazioni e stimoli, di innescare trasformazioni, viene azzerata o espressa solo al negativo. Luoghi contro le persone, monumenti autoreferenziali: frequentati per obbligo, sono concepiti senza alcuna considerazione o attenzione verso chi, al loro interno, lavora, studia, si cura, gioca, vive.
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Attento osservatore delle realtà sperimentali sostiene l’innovazione e l’apertura degli spazi nell’interesse di chi ogni giorno li vive e attraversa. Antonio Villas definisce i luoghi della società contemporanea “anti-luoghi” ovvero luoghi dove non vengono riconosciute le esigenze minime del vivere insieme, quali decenza, decoro, comfort, dove la relazione tra spazi e persone, la possibilità di comunicare con segni e colori, di creare sensazioni e stimoli, di innescare trasformazioni, viene azzerata o espressa solo al negativo. Luoghi contro le persone, monumenti autoreferenziali: frequentati per obbligo, sono concepiti senza alcuna considerazione o attenzione verso chi, al loro interno, lavora, studia, si cura, gioca, vive.
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Sono dei luoghi di cui sembra non volersi occupare più nessuno. Molto spesso sono brutti, fatiscenti, in contrasto con quello che dovrebbero essere. Una scuola dovrebbe essere bella, attrezzata, luogo dove crescere le menti e invece il dibattito è su come fare il controsoffitto. Stessa cosa vale per gli ospedali dove la gente ci arriva già con delle preoccupazioni, con delle debolezze e si ritrova in posti dove non sa da dove entrare o uscire, sporchi e degradati. C’è un degrado verso il posto pubblico. Di contrasto, più lo spazio pubblico diventa una discarica, più lo spazio privato acquisisce importanza e bellezza. Manca il rispetto delle esigenze delle persone: sì, perché non ci si chiede chi deve abitare i luoghi divenuti semplici contenitori di esseri umani.
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Sono dei luoghi di cui sembra non volersi occupare più nessuno. Molto spesso sono brutti, fatiscenti, in contrasto con quello che dovrebbero essere. Una scuola dovrebbe essere bella, attrezzata, luogo dove crescere le menti e invece il dibattito è su come fare il controsoffitto. Stessa cosa vale per gli ospedali dove la gente ci arriva già con delle preoccupazioni, con delle debolezze e si ritrova in posti dove non sa da dove entrare o uscire, sporchi e degradati. C’è un degrado verso il posto pubblico. Di contrasto, più il dominio pubblico diventa una discarica, più lo spazio privato acquisisce importanza e bellezza.  
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Per questo il suo progettare gli spazi di cura in modo sensato, partendo dalla prospettiva di chi deve ‘abitare’ questi luoghi, diviene in sé un atto rivoluzionario (e probabilmente ‘terapeutico’ per gli utenti stessi). “I progetti sono stati sempre discussi e partecipati da coloro che dovevano praticare la salute mentale, quindi non nascevano da un gesto individuale mio”, sostiene Villas.
 
Per questo il suo progettare gli spazi di cura in modo sensato, partendo dalla prospettiva di chi deve ‘abitare’ questi luoghi, diviene in sé un atto rivoluzionario (e probabilmente ‘terapeutico’ per gli utenti stessi). “I progetti sono stati sempre discussi e partecipati da coloro che dovevano praticare la salute mentale, quindi non nascevano da un gesto individuale mio”, sostiene Villas.
Antonio Villas, architetto ma anche falegname-disegnatore, ha progettato anche mobili e vari oggetti d’arredamento, con un gusto molto particolare in particolare nel laboratorio “Falegnameria Hill” insieme tra gli altri ad Aldo Di Bella:
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Antonio Villas, architetto ma anche falegname-disegnatore, ha progettato anche mobili e vari oggetti d’arredamento, con un gusto molto particolare in particolare nel laboratorio “Falegnameria Hill” insieme tra gli altri ad Aldo Di Bella.
Villas cerca di sintetizzare il suo modo di lavorare con il termine “habitat sociale”: “Per me habitat sociale è un’esperienza concreta di trasformazione dei posti e anche delle persone che li abitano, una sigla che identifica un modo di operare, una ricerca di qualità possibile, un tentativo di progettare semplicemente e banalmente degli spazi sensati in modo sensato. Progettare vuol dire calarsi, senza schemi prefissati da imporre, nelle diverse situazioni con le loro storie e specificità; intraprendere un percorso di scambio e confronto; far emergere bisogni, desideri, potenzialità; elaborare soluzioni aperte in modo partecipato e contaminato; individuare quello che il luogo deve esprimere, suscitare, comunicare, e il linguaggio adatto allo scopo: e solo allora affrontare la fase finale delI'invenzione e delle scelte.”
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Villas cerca di sintetizzare il suo modo di lavorare con il termine “habitat sociale”: “Per me habitat sociale è un’esperienza concreta di trasformazione dei posti e anche delle persone che li abitano, una sigla che identifica un modo di operare, una ricerca di qualità possibile, un tentativo di progettare semplicemente e banalmente degli spazi sensati in modo sensato. Progettare vuol dire calarsi, senza schemi prefissati da imporre, nelle diverse situazioni con le loro storie e specificità; intraprendere un percorso di scambio e confronto; far emergere bisogni, desideri, potenzialità; elaborare soluzioni aperte in modo partecipato e contaminato; individuare quello che il luogo deve esprimere, suscitare, comunicare, e il linguaggio adatto allo scopo: e solo allora affrontare la fase finale dell'invenzione e delle scelte.”
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“Habitat sociale” significa “portare qualità e bellezza dove non è prevista, inserire la dignità tra gli elementi del progetto, rovesciare territori emarginati di confine in zone libere.”
 
“Habitat sociale” significa “portare qualità e bellezza dove non è prevista, inserire la dignità tra gli elementi del progetto, rovesciare territori emarginati di confine in zone libere.”

Versione attuale delle 09:27, 23 ott 2023

Antonio Villas, ingegnere di formazione e poi progettista presso la FIAT Automobili Torino, oggi svolge a Trieste la professione di architetto, o come si definisce lui "anti-architetto". Lo stile dei suoi progetti e delle sue realizzazioni è moderno e anticonformista. Anche Fabrizia Ramondino in Passaggio a Trieste lo descrive con lo stesso termine per il suo modo di lavorare alternativo a quello individualista degli archistar. Ha curato molti progetti per l’Azienda Sanitaria Triestina e il DIpartimento di Salute Mentale di Trieste.

Attento osservatore delle realtà sperimentali sostiene l’innovazione e l’apertura degli spazi nell’interesse di chi ogni giorno li vive e attraversa. Antonio Villas definisce i luoghi della società contemporanea “anti-luoghi” ovvero luoghi dove non vengono riconosciute le esigenze minime del vivere insieme, quali decenza, decoro, comfort, dove la relazione tra spazi e persone, la possibilità di comunicare con segni e colori, di creare sensazioni e stimoli, di innescare trasformazioni, viene azzerata o espressa solo al negativo. Luoghi contro le persone, monumenti autoreferenziali: frequentati per obbligo, sono concepiti senza alcuna considerazione o attenzione verso chi, al loro interno, lavora, studia, si cura, gioca, vive.

Sono dei luoghi di cui sembra non volersi occupare più nessuno. Molto spesso sono brutti, fatiscenti, in contrasto con quello che dovrebbero essere. Una scuola dovrebbe essere bella, attrezzata, luogo dove crescere le menti e invece il dibattito è su come fare il controsoffitto. Stessa cosa vale per gli ospedali dove la gente ci arriva già con delle preoccupazioni, con delle debolezze e si ritrova in posti dove non sa da dove entrare o uscire, sporchi e degradati. C’è un degrado verso il posto pubblico. Di contrasto, più il dominio pubblico diventa una discarica, più lo spazio privato acquisisce importanza e bellezza.

Per questo il suo progettare gli spazi di cura in modo sensato, partendo dalla prospettiva di chi deve ‘abitare’ questi luoghi, diviene in sé un atto rivoluzionario (e probabilmente ‘terapeutico’ per gli utenti stessi). “I progetti sono stati sempre discussi e partecipati da coloro che dovevano praticare la salute mentale, quindi non nascevano da un gesto individuale mio”, sostiene Villas.

Antonio Villas, architetto ma anche falegname-disegnatore, ha progettato anche mobili e vari oggetti d’arredamento, con un gusto molto particolare in particolare nel laboratorio “Falegnameria Hill” insieme tra gli altri ad Aldo Di Bella.

Villas cerca di sintetizzare il suo modo di lavorare con il termine “habitat sociale”: “Per me habitat sociale è un’esperienza concreta di trasformazione dei posti e anche delle persone che li abitano, una sigla che identifica un modo di operare, una ricerca di qualità possibile, un tentativo di progettare semplicemente e banalmente degli spazi sensati in modo sensato. Progettare vuol dire calarsi, senza schemi prefissati da imporre, nelle diverse situazioni con le loro storie e specificità; intraprendere un percorso di scambio e confronto; far emergere bisogni, desideri, potenzialità; elaborare soluzioni aperte in modo partecipato e contaminato; individuare quello che il luogo deve esprimere, suscitare, comunicare, e il linguaggio adatto allo scopo: e solo allora affrontare la fase finale dell'invenzione e delle scelte.”

“Habitat sociale” significa “portare qualità e bellezza dove non è prevista, inserire la dignità tra gli elementi del progetto, rovesciare territori emarginati di confine in zone libere.”