Differenze tra le versioni di "Marco Cavallo"
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− | Marco Cavallo è una scultura di legno e cartapesta realizzata nel 1973 all'interno del manicomio di Trieste da un'idea di Peppe Dell'Acqua, Dino Basaglia, Vittorio Basaglia e Giuliano Scabia. Nel giugno del 1972 i ricoverati dell'ospedale psichiatrico inviarono una lettera al Presidente della provincia di Trieste Michele Zanetti con un appello per la sorte del cavallo "Marco", un cavallo reale che dal 1959 era adibito al traino del carretto della lavanderia, dei rifiuti e del trasporto di materiale vario nel manicomio. Il testo ne chiedeva in luogo della prevista macellazione il dignitoso "pensionamento" all'interno della struttura per "meriti" lavorativi e per l'affetto che sia il personale che i pazienti nutrivano verso l'animale. In cambio si offriva il versamento di una somma pari al ricavato della vendita dell'animale per la macellazione, e il mantenimento a proprie spese per tutta la restante vita naturale del cavallo. Il 30 ottobre dello stesso anno la Provincia di Trieste accolse la richiesta, stanziando l'acquisto di un motocarro in sostituzione del cavallo, che veniva appunto ceduto e affidato alle cure dei pazienti residenti nel manicomio. Questa prima favorevole accoglienza delle autorità di una richiesta diretta da parte di ricoverati di un manicomio, allora privati dei diritti civili, venne vista come una apertura e un'occasione verso un possibile riconoscimento della loro dignità personale. | + | Marco Cavallo è una scultura di legno e cartapesta realizzata nel 1973 all'interno del [[Parco di San Giovannni|manicomio di Trieste]] da un'idea di [[Peppe Dell'Acqua]], Dino Basaglia, Vittorio Basaglia e [[Giuliano Scabia]]. Nel giugno del 1972 i ricoverati dell'ospedale psichiatrico inviarono una lettera al Presidente della provincia di Trieste [[Michele Zanetti]] con un appello per la sorte del cavallo "Marco", un cavallo reale che dal 1959 era adibito al traino del carretto della lavanderia, dei rifiuti e del trasporto di materiale vario nel manicomio. Il testo ne chiedeva in luogo della prevista macellazione il dignitoso "pensionamento" all'interno della struttura per "meriti" lavorativi e per l'affetto che sia il personale che i pazienti nutrivano verso l'animale. In cambio si offriva il versamento di una somma pari al ricavato della vendita dell'animale per la macellazione, e il mantenimento a proprie spese per tutta la restante vita naturale del cavallo. Il 30 ottobre dello stesso anno la Provincia di Trieste accolse la richiesta, stanziando l'acquisto di un motocarro in sostituzione del cavallo, che veniva appunto ceduto e affidato alle cure dei pazienti residenti nel manicomio. Questa prima favorevole accoglienza delle autorità di una richiesta diretta da parte di ricoverati di un manicomio, allora privati dei diritti civili, venne vista come una apertura e un'occasione verso un possibile riconoscimento della loro dignità personale. |
L'artista Vittorio Basaglia, cugino del direttore Franco Basaglia, ideò il progetto della realizzazione di un cavallo di legno e cartapesta in forma di “installazione” e “macchina teatrale” che prendesse spunto da questo fatto di cronaca reale e potesse diventare il simbolo della fine dell'isolamento dei malati mentali e che potesse invece essere contenitore delle istanze di libertà e umanità dei malati mentali. La realizzazione fu affidata ai laboratori artistici già presenti all'interno dell'Ospedale psichiatrico. Anche i pazienti vennero coinvolti nell'opera di realizzazione dei contenuti artistici e immaginifici da inserire nell'opera e ne decisero il colore azzurro, simbolo della gioia di vivere. La "pancia" del cavallo avrebbe dovuto contenere i loro desideri, sogni e istanze. Alto circa 4 metri e di colore azzurro, come deciso dagli stessi pazienti, lo si volle di così grandi dimensioni, per poter idealmente contenere tutti i desideri e i sogni dei ricoverati, e portare all'esterno un simbolo visibile e rappresentativo dell'umanità allora "nascosta" e "misconosciuta" all'interno dei manicomi. Un grosso problema sorse in occasione della prima uscita del cavallo nel carnevale del marzo 1973. Costruito all'interno della struttura, non si era tenuto conto delle dimensioni monumentali dell'opera e nessuna delle porte dell'ospedale era sufficientemente grande da permetterne l'uscita. La difficoltà, oltre che logistica, causò la profonda frustrazione dei pazienti, dato l'evidente e immediato paragone con il loro stato di reclusione forzata, dovuta alle allora vigenti leggi ospedaliere in merito ai malati mentali. L'impasse venne risolta lanciando il cavallo contro una delle porte, causando la rottura delle vetrate e di un architrave, ma permettendo l'uscita dell'installazione e la rottura anche del muro reale e simbolico fra il "dentro" e il "fuori". Il cavallo divenne pertanto "icona" della lotta etica, sociale, medica e politica a favore della legge sulla chiusura dei manicomi, nonché simbolo per gli stessi pazienti delle loro istanze di libertà, liberazione e riconoscimento della loro dignità di persone, fino ad allora negate. Da allora è esibito in tutto il mondo come installazione itinerante per sensibilizzare l'opinione pubblica e il mondo politico sui problemi della salute mentale. | L'artista Vittorio Basaglia, cugino del direttore Franco Basaglia, ideò il progetto della realizzazione di un cavallo di legno e cartapesta in forma di “installazione” e “macchina teatrale” che prendesse spunto da questo fatto di cronaca reale e potesse diventare il simbolo della fine dell'isolamento dei malati mentali e che potesse invece essere contenitore delle istanze di libertà e umanità dei malati mentali. La realizzazione fu affidata ai laboratori artistici già presenti all'interno dell'Ospedale psichiatrico. Anche i pazienti vennero coinvolti nell'opera di realizzazione dei contenuti artistici e immaginifici da inserire nell'opera e ne decisero il colore azzurro, simbolo della gioia di vivere. La "pancia" del cavallo avrebbe dovuto contenere i loro desideri, sogni e istanze. Alto circa 4 metri e di colore azzurro, come deciso dagli stessi pazienti, lo si volle di così grandi dimensioni, per poter idealmente contenere tutti i desideri e i sogni dei ricoverati, e portare all'esterno un simbolo visibile e rappresentativo dell'umanità allora "nascosta" e "misconosciuta" all'interno dei manicomi. Un grosso problema sorse in occasione della prima uscita del cavallo nel carnevale del marzo 1973. Costruito all'interno della struttura, non si era tenuto conto delle dimensioni monumentali dell'opera e nessuna delle porte dell'ospedale era sufficientemente grande da permetterne l'uscita. La difficoltà, oltre che logistica, causò la profonda frustrazione dei pazienti, dato l'evidente e immediato paragone con il loro stato di reclusione forzata, dovuta alle allora vigenti leggi ospedaliere in merito ai malati mentali. L'impasse venne risolta lanciando il cavallo contro una delle porte, causando la rottura delle vetrate e di un architrave, ma permettendo l'uscita dell'installazione e la rottura anche del muro reale e simbolico fra il "dentro" e il "fuori". Il cavallo divenne pertanto "icona" della lotta etica, sociale, medica e politica a favore della legge sulla chiusura dei manicomi, nonché simbolo per gli stessi pazienti delle loro istanze di libertà, liberazione e riconoscimento della loro dignità di persone, fino ad allora negate. Da allora è esibito in tutto il mondo come installazione itinerante per sensibilizzare l'opinione pubblica e il mondo politico sui problemi della salute mentale. |
Versione delle 10:26, 15 set 2022
Marco Cavallo è una scultura di legno e cartapesta realizzata nel 1973 all'interno del manicomio di Trieste da un'idea di Peppe Dell'Acqua, Dino Basaglia, Vittorio Basaglia e Giuliano Scabia. Nel giugno del 1972 i ricoverati dell'ospedale psichiatrico inviarono una lettera al Presidente della provincia di Trieste Michele Zanetti con un appello per la sorte del cavallo "Marco", un cavallo reale che dal 1959 era adibito al traino del carretto della lavanderia, dei rifiuti e del trasporto di materiale vario nel manicomio. Il testo ne chiedeva in luogo della prevista macellazione il dignitoso "pensionamento" all'interno della struttura per "meriti" lavorativi e per l'affetto che sia il personale che i pazienti nutrivano verso l'animale. In cambio si offriva il versamento di una somma pari al ricavato della vendita dell'animale per la macellazione, e il mantenimento a proprie spese per tutta la restante vita naturale del cavallo. Il 30 ottobre dello stesso anno la Provincia di Trieste accolse la richiesta, stanziando l'acquisto di un motocarro in sostituzione del cavallo, che veniva appunto ceduto e affidato alle cure dei pazienti residenti nel manicomio. Questa prima favorevole accoglienza delle autorità di una richiesta diretta da parte di ricoverati di un manicomio, allora privati dei diritti civili, venne vista come una apertura e un'occasione verso un possibile riconoscimento della loro dignità personale.
L'artista Vittorio Basaglia, cugino del direttore Franco Basaglia, ideò il progetto della realizzazione di un cavallo di legno e cartapesta in forma di “installazione” e “macchina teatrale” che prendesse spunto da questo fatto di cronaca reale e potesse diventare il simbolo della fine dell'isolamento dei malati mentali e che potesse invece essere contenitore delle istanze di libertà e umanità dei malati mentali. La realizzazione fu affidata ai laboratori artistici già presenti all'interno dell'Ospedale psichiatrico. Anche i pazienti vennero coinvolti nell'opera di realizzazione dei contenuti artistici e immaginifici da inserire nell'opera e ne decisero il colore azzurro, simbolo della gioia di vivere. La "pancia" del cavallo avrebbe dovuto contenere i loro desideri, sogni e istanze. Alto circa 4 metri e di colore azzurro, come deciso dagli stessi pazienti, lo si volle di così grandi dimensioni, per poter idealmente contenere tutti i desideri e i sogni dei ricoverati, e portare all'esterno un simbolo visibile e rappresentativo dell'umanità allora "nascosta" e "misconosciuta" all'interno dei manicomi. Un grosso problema sorse in occasione della prima uscita del cavallo nel carnevale del marzo 1973. Costruito all'interno della struttura, non si era tenuto conto delle dimensioni monumentali dell'opera e nessuna delle porte dell'ospedale era sufficientemente grande da permetterne l'uscita. La difficoltà, oltre che logistica, causò la profonda frustrazione dei pazienti, dato l'evidente e immediato paragone con il loro stato di reclusione forzata, dovuta alle allora vigenti leggi ospedaliere in merito ai malati mentali. L'impasse venne risolta lanciando il cavallo contro una delle porte, causando la rottura delle vetrate e di un architrave, ma permettendo l'uscita dell'installazione e la rottura anche del muro reale e simbolico fra il "dentro" e il "fuori". Il cavallo divenne pertanto "icona" della lotta etica, sociale, medica e politica a favore della legge sulla chiusura dei manicomi, nonché simbolo per gli stessi pazienti delle loro istanze di libertà, liberazione e riconoscimento della loro dignità di persone, fino ad allora negate. Da allora è esibito in tutto il mondo come installazione itinerante per sensibilizzare l'opinione pubblica e il mondo politico sui problemi della salute mentale.
Bibliiografia Giuliano Scabia, Marco Cavallo, AlphaBeta edizioni, 2011 Vittorio Basaglia, Laboratorio P Marco Cavallo, n/e