Differenze tra le versioni di "Laboratorio di Arti Visive P"
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− | All’ex-OPP di Trieste nel 1983 nasce il Laboratorio P di arti visive, luogo di scambio e produzione in cui convivono pratiche dell’arte, della cura e della cultura. | + | All’ex-OPP di Trieste nel 1983 nasce il Laboratorio P di arti visive, luogo di scambio e produzione in cui convivono pratiche dell’arte, della cura e della cultura. |
− | Animatori dell’iniziativa sono il pittore Pino Rosati e Carla Prosdocimo. | + | |
− | Ben presto il gruppo si allarga e nel 1989 arriva l’artista argentino Guillermo Giampietro, che diverrà coordinatore del Laboratorio P nel 1995. | + | Animatori dell’iniziativa sono il pittore Pino Rosati e Carla Prosdocimo. Ben presto il gruppo si allarga e nel 1989 arriva l’artista argentino Guillermo Giampietro, che diverrà coordinatore del Laboratorio P nel 1995. |
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+ | Il Laboratorio P realizza opere di pittura, scultura, incisione, serigrafia, intervento urbano, gallerie d’arte e mostre in tutta Europa. | ||
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+ | Dal 1980 il manicomio è ormai ufficialmente chiuso, i servizi di salute mentale sono già in città, e lo spazio svuotato del manicomio diventa un luogo di incontro: la maggioranza deviante invade il parco di San Giovanni. Nel fiorire di pratiche e forme, l’esperienza basagliana si contamina sempre più attraverso nuovi dispositivi di proliferazione e rottura. Eppure di queste onde di trasformazione poco sembra restare oggi. Restano pochi oggetti, tanto che nei primi anni duemila furono le “Reliquie”, sopravvissute all’ennesima inondazione, a raccontare della tensione sempre effimera e rischiosa tra arte e tempo. Ma soprattutto resta il problema di come combinare oggi spazi e strumenti per lasciarsi di nuovo prendere dal desiderio di trovare altre strade, altri suoni, altri corpi che risuonino con la vita. | ||
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Scrive Angela Pianca: «I Laboratori si configurano quindi come luoghi dove diventa possibile attuare interventi dinamici e pedagogici, stimolare capacità creative e di trasformazione culturale, di trasformazione dei ruoli predefiniti, delle etichette, dello stigma. Luoghi capaci di modificare concretamente le condizioni di vita delle persone, attraverso processi continui e faticosi di soggettivazione. Con progetti in grado di accrescere e promuovere livelli di partecipazione, di condivisione e di affettività; con grande attenzione alla qualità del processo, dei percorsi, dei prodotti». | Scrive Angela Pianca: «I Laboratori si configurano quindi come luoghi dove diventa possibile attuare interventi dinamici e pedagogici, stimolare capacità creative e di trasformazione culturale, di trasformazione dei ruoli predefiniti, delle etichette, dello stigma. Luoghi capaci di modificare concretamente le condizioni di vita delle persone, attraverso processi continui e faticosi di soggettivazione. Con progetti in grado di accrescere e promuovere livelli di partecipazione, di condivisione e di affettività; con grande attenzione alla qualità del processo, dei percorsi, dei prodotti». | ||
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Versione attuale delle 11:11, 25 ott 2023
All’ex-OPP di Trieste nel 1983 nasce il Laboratorio P di arti visive, luogo di scambio e produzione in cui convivono pratiche dell’arte, della cura e della cultura.
Animatori dell’iniziativa sono il pittore Pino Rosati e Carla Prosdocimo. Ben presto il gruppo si allarga e nel 1989 arriva l’artista argentino Guillermo Giampietro, che diverrà coordinatore del Laboratorio P nel 1995.
Il Laboratorio P realizza opere di pittura, scultura, incisione, serigrafia, intervento urbano, gallerie d’arte e mostre in tutta Europa.
Dal 1980 il manicomio è ormai ufficialmente chiuso, i servizi di salute mentale sono già in città, e lo spazio svuotato del manicomio diventa un luogo di incontro: la maggioranza deviante invade il parco di San Giovanni. Nel fiorire di pratiche e forme, l’esperienza basagliana si contamina sempre più attraverso nuovi dispositivi di proliferazione e rottura. Eppure di queste onde di trasformazione poco sembra restare oggi. Restano pochi oggetti, tanto che nei primi anni duemila furono le “Reliquie”, sopravvissute all’ennesima inondazione, a raccontare della tensione sempre effimera e rischiosa tra arte e tempo. Ma soprattutto resta il problema di come combinare oggi spazi e strumenti per lasciarsi di nuovo prendere dal desiderio di trovare altre strade, altri suoni, altri corpi che risuonino con la vita.
Scrive Angela Pianca: «I Laboratori si configurano quindi come luoghi dove diventa possibile attuare interventi dinamici e pedagogici, stimolare capacità creative e di trasformazione culturale, di trasformazione dei ruoli predefiniti, delle etichette, dello stigma. Luoghi capaci di modificare concretamente le condizioni di vita delle persone, attraverso processi continui e faticosi di soggettivazione. Con progetti in grado di accrescere e promuovere livelli di partecipazione, di condivisione e di affettività; con grande attenzione alla qualità del processo, dei percorsi, dei prodotti».
Bibliografia AA. VV., Laboratorio "P", edizioni e