Differenze tra le versioni di "Falegnameria "Hill""

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La falegnameria Hill e il lavoro grafico del Gruppo ZIP sono stati laboratorio di progettazione e produzione sperimentale, per l’elaborazione di oggetti, ambienti, arredi, allestimenti e “habitat sociali” nel Parco di San Giovanni e non solo, per affermare la bellezza come diritto di tutte e tutti. Tavoli di legno massiccio dipinti di blu componibili in varie forme; poltroncine rotonde ricoperte di plastica rossa con struttura in legno dorato, da teatro più che da salotto; divani composti da cassoni verniciati di nero in forma di lunghi triangoli acuti coperti da cuscini colorati dove ci si può stendere o sedere; tavolini semicircolari componibili; mensole lineari disposte su piani irregolari; lampade da soffitto bianche e ovali.
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La falegnameria “Hill” e il lavoro grafico del Gruppo ZIP sono stati un laboratorio di progettazione e produzione sperimentale, finalizzati all’elaborazione di oggetti, ambienti, arredi, allestimenti e “habitat sociali” nel Parco di San Giovanni e non solo, con lo scopo di affermare la dimensione della bellezza come diritto a disposizione di tutte e tutti. L’ideatore della falegnameria “Hill” è stato l'ingegnere Antonio Villas.
  
Nel corso degli anni Ottanta, all’interno del [[Parco Culturale di San Giovanni]], emerge la volontà di recuperare i luoghi che per lungo tempo erano stati luoghi di repressione e negazione del soggetto, passando dai luoghi di cura alla cura dei luoghi. Questa idea vuole ripensare i luoghi e gli oggetti a partire da come vengono percepiti soggettivamente e dal loro rapporto con le persone che convivono con essi. La deistituzionalizzazione trasforma questa idea in una necessità: eliminare il passato architettonico istituzionalizzato per ricreare gli spazi lasciando il potere all’immaginazione e a un  processo rivoluzionario che si esprime nei gesti, nelle idee e in spazi nuovi. L’idea supera la dicotomia formale di bello e brutto, in quanto costruzione sociale vincolante e oggettivata, per lasciar parlare i luoghi stessi e concretizzare poi ciò che suggeriscono.  
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Tra le produzioni della falegnameria si annoverano: tavoli di legno massiccio dipinti di blu componibili in varie forme; poltroncine rotonde ricoperte di plastica rossa con struttura in legno dorato, da teatro piú che da salotto; divani composti da cassoni verniciati di nero in forma di lunghi triangoli acuti coperti da cuscini colorati dove ci si può stendere o sedere; tavolini semicircolari componibili; mensole lineari disposte su piani irregolari; lampade da soffitto bianche e ovali.
  
Antonio Villas ha creato anche il termine di “habitat sociale”, con cui intende un modo innovativo di concepire l’architettura e la progettazione degli spazi. Secondo Villas i luoghi pubblici come le scuole, gli ospedali, i centri di salute mentale, così come vengono perlopiù progettati e arredati, sono “anti-luoghi”, cioè luoghi dove vengono negati i bisogni più elementari di chi li frequenta, soprattutto i bisogni di relazioni e socialità. Scuole e asili sono edifici grigi, scatole-bunker chiuse al mondo, proprio dove i bambini dovrebbero apprendere la vita. Gli ospedali sono fortezze tecnologiche che aumentano il senso di insicurezza, la preoccupazione e la paura di chi sta male e di chi se ne occupa.  
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Antonio Villas ha coniato il termine di “habitat sociale”, attraverso il quale si cerca di promuovere una concezione innovativa dell’architettura attraverso la progettazione degli spazi di vita. Villas definisce “anti-luoghi” gli spazi pubblici come le scuole, gli ospedali, i centri di salute mentale  “anti-luoghi”, così come vengono costruiti. Questa definizione provocatoria origina dalla riflessione di Villas il quale ritiene che non vengano adeguatamente attenzionati i bisogni delle persone, in particolare per quanto riguarda i bisogni relazionali e di socialità.  
  
Fabbriche e uffici sono laboratori di tristezza che parlano di coercizione e inutilità di un fare dequalificato. I palazzi sono labirinti senza inizio e senza fine, nei quali non è possibile riconoscere nemmeno l’ingresso. Sono tutti anti-luoghi ovvero luoghi dove non vengono riconosciute le esigenze minime del vivere insieme, quali decenza, decoro, comfort, dove la relazione tra spazi e persone, la possibilità di comunicare con segni e colori, di creare sensazioni e stimoli, di indurre reazioni e comportamenti, di innescare trasformazioni, viene azzerata o espressa solo al negativo. Luoghi contro le persone, monumenti autoreferenziali. Al contrario, secondo Antonio Villas i luoghi pubblici devono essere non semplici contenitori, ma luoghi di incontro e socialità. Si tratta quindi di re-immaginarli o immaginarli diversamente, in modo da venire incontro alle aspettative o all’immaginazione delle persone.
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Secondo Villas le scuole e gli asili sono edifici grigi, scatole-bunker chiuse al mondo, quando dovrebbero rappresentare i luoghi principe entro i quali i bambini dovrebbero approcciarsi alla vita. Gli ospedali sono fortezze tecnologiche che aumentano il senso di insicurezza, la preoccupazione e la paura di chi sta male e di chi se ne occupa.  
  
«Rovesciare territori emarginati di confine in zone libere, capaci di stimolare creatività e sperimentazione, legare qualità del lavoro e qualità degli oggetti e fare di tutto questo qualcosa di produttivo. Habitat sociale: una definizione forse usurata, un’etichetta per dire e soprattutto fare questo e altro» (Antonio Villas).
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Fabbriche e uffici sono laboratori di tristezza che parlano di coercizione e inutilità di un fare dequalificato. I palazzi sono labirinti senza inizio e senza fine, nei quali non è possibile riconoscere nemmeno l’ingresso.
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Sempre secondo Villas questi anti-luoghi non posseggono le caratteristiche necessarie per poter assolvere ai propri mandati sociali, li definisce come luoghi contro le persone, monumenti di natura autoreferenziale. Per poter efficacemente rispondere ai propri obiettivi dovrebbero essere luoghi in cui si riesce a favorire una relazione costante tra lo spazio e le persone.
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Al contrario, secondo Antonio Villas i luoghi pubblici devono essere non semplici contenitori, ma luoghi di incontro e socialità. Si dovrebbe quindi di re-immaginarli o immaginarli diversamente, in modo da venire incontro e intrecciare le aspettative, le risorse e i bisogni delle persone.
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«Rovesciare territori emarginati di confine in zone libere, capaci di stimolare creatività e sperimentazione, legare qualità del lavoro e qualità degli oggetti e fare di tutto questo qualcosa
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di produttivo. “Habitat sociale”: una definizione forse usurata, un’etichetta per dire e soprattutto fare questo e altro» (Antonio Villas).

Versione attuale delle 11:45, 23 ott 2023

La falegnameria “Hill” e il lavoro grafico del Gruppo ZIP sono stati un laboratorio di progettazione e produzione sperimentale, finalizzati all’elaborazione di oggetti, ambienti, arredi, allestimenti e “habitat sociali” nel Parco di San Giovanni e non solo, con lo scopo di affermare la dimensione della bellezza come diritto a disposizione di tutte e tutti. L’ideatore della falegnameria “Hill” è stato l'ingegnere Antonio Villas.

Tra le produzioni della falegnameria si annoverano: tavoli di legno massiccio dipinti di blu componibili in varie forme; poltroncine rotonde ricoperte di plastica rossa con struttura in legno dorato, da teatro piú che da salotto; divani composti da cassoni verniciati di nero in forma di lunghi triangoli acuti coperti da cuscini colorati dove ci si può stendere o sedere; tavolini semicircolari componibili; mensole lineari disposte su piani irregolari; lampade da soffitto bianche e ovali.

Antonio Villas ha coniato il termine di “habitat sociale”, attraverso il quale si cerca di promuovere una concezione innovativa dell’architettura attraverso la progettazione degli spazi di vita. Villas definisce “anti-luoghi” gli spazi pubblici come le scuole, gli ospedali, i centri di salute mentale  “anti-luoghi”, così come vengono costruiti. Questa definizione provocatoria origina dalla riflessione di Villas il quale ritiene che non vengano adeguatamente attenzionati i bisogni delle persone, in particolare per quanto riguarda i bisogni relazionali e di socialità.

Secondo Villas le scuole e gli asili sono edifici grigi, scatole-bunker chiuse al mondo, quando dovrebbero rappresentare i luoghi principe entro i quali i bambini dovrebbero approcciarsi alla vita. Gli ospedali sono fortezze tecnologiche che aumentano il senso di insicurezza, la preoccupazione e la paura di chi sta male e di chi se ne occupa.

Fabbriche e uffici sono laboratori di tristezza che parlano di coercizione e inutilità di un fare dequalificato. I palazzi sono labirinti senza inizio e senza fine, nei quali non è possibile riconoscere nemmeno l’ingresso.

Sempre secondo Villas questi anti-luoghi non posseggono le caratteristiche necessarie per poter assolvere ai propri mandati sociali, li definisce come luoghi contro le persone, monumenti di natura autoreferenziale. Per poter efficacemente rispondere ai propri obiettivi dovrebbero essere luoghi in cui si riesce a favorire una relazione costante tra lo spazio e le persone.

Al contrario, secondo Antonio Villas i luoghi pubblici devono essere non semplici contenitori, ma luoghi di incontro e socialità. Si dovrebbe quindi di re-immaginarli o immaginarli diversamente, in modo da venire incontro e intrecciare le aspettative, le risorse e i bisogni delle persone.

«Rovesciare territori emarginati di confine in zone libere, capaci di stimolare creatività e sperimentazione, legare qualità del lavoro e qualità degli oggetti e fare di tutto questo qualcosa

di produttivo. “Habitat sociale”: una definizione forse usurata, un’etichetta per dire e soprattutto fare questo e altro» (Antonio Villas).